Schiacciata da un sistema economico che l’ha condannata ad un destino da “Città dell’Acciaio”, Taranto è diventata simbolo del fallimento di quel modello di sviluppo che ha voluto cercare a tutti i costi nell’industria e nell’attività militare le fonti di sviluppo e ricchezza su cui puntare, lasciando che risorse naturali come la qualità dell’ambiente, la bellezza del territorio e la sua ricchezza culturale, venissero trattate con sufficienza, relegate ad un ruolo secondario se non addirittura violate. Salita alla ribalta di caso nazionale nel 2007 per la sua condizione ambientale, la città si è trovata a combattere, questa volta sotto lo sguardo di tutti, una battaglia già aperta da decenni. Non più abbandonata a se stessa, la popolazione tarantina si è come rianimata e, riunita in associazioni di cittadini e lavoratori, ha ricominciato a lottare, con nuova convinzione, per diritti fondamentali quali quello alla salute ed al lavoro. Un risveglio che ha trovato sbocchi in diverse forme di protesta ma che si è manifestato in maniera forte ed improvvisa in un evidente cambiamento nel rapporto dei cittadini con la città stessa: una volontà di riappropriarsi dei proprio spazi, delle zone abbandonate. Una voglia di riavvicinarsi alla propria storia, ai luoghi. Una spinta, da troppo tempo assente, verso nuove possibilità ed opportunità pensate e sviluppate in armonia con la terra, con il mare. Una riscoperta che ha trovato, inevitabilmente, il suo punto più intimo nel riavvicinamento proprio con il mare. Quelle poche strisce di costa cittadine non mangiate dall’industria o dall’Arsenale Militare si sono andate ripopolando; in particolare di anziani, che hanno ritrovato il piacere, da tempo perduto, del mare “sotto casa”, dei lidi a due passi dalla Posta Centrale e dal Palazzo della Provincia, ed ovviamente di bambini nel cui sguardo è facile leggere il pensiero più spontaneo e naturale: ho qui il mare, mi ci tuffo. Un gesto di ribellione sottile, istintivo ma eclatante e di grande potenza e significato per chi, crescendo in questa città, ha imparato ad avere timore di quel mare “sporco”, “pericoloso”, “malato”. Ed è qui la felicità di chi, dopo una lunga e dolorosa privazione, rivede e rivive il mare come proprio bene, e ne rivendica l’appartenenza.
2016 / in corso